domenica 16 gennaio 2011

Rugiada e dintorni.

Una selezione delle più belle foto di macrofotografia di Andrew Osokin
che hanno come oggetto la rugiada :
















martedì 4 gennaio 2011

Le più belle foto di Saturno riprese dalla sonda Cassini


Una selezione delle più belle foto di Saturno e dei sui anelli,

riprese dalla sonda Cassini nel 2004







A Sinistra in alto si vede la Terra


domenica 2 gennaio 2011

Monastero di San Juan de la Peña



Sul Monte Pano, nel versante spagnolo dei Pirenei a nord di Huesca, si trova ciò che rimane del monastero fortificato di San Juan de la Pena.
Questo luogo ameno in alta montagna era nel Medio Evo un grande centro spirituale dove si rendeva omaggio al Graal.
Il monastero è completamente circondato da un bosco ed è attaccato a una parete di roccia rossastra. Il fascino del luogo è da attribuire tra l’altro anche ad alcuni sepolcri: i sepolcri deiCavalieri del Graal.


Tra l’VIII e il IX secolo in questo monastero i monaci avrebbero nascosto e celebrato il calice dell’Ultima Cena, prima che fosse portato nella cattedrale spagnola di Jaca nel 1063.
Ma in che modo il Graal arrivò sui Pirenei?
Dopo la crocifissione di Gesù il calice sarebbe giunto a Roma nelle mani dei papi.
Nell’anno 258, durante la persecuzione dei cristiani sotto l’imperatore Valeriano, papa Sisto II, che nutriva una simpatia verso lo Gnosticismo, avrebbe affidato il calice al suo diacono Lorenzo; San Lorenzo lo avrebbe poi portato a Huesca, nella sua casa in Spagna.
Nel 716 la città fu minacciata dagli Arabi e quando il vescovo di Huesca si rese conto che la preziosa reliquia era nuovamente in pericolo, la fece portare nello sperduto monastero di San Adrien de Sasave nella valle del Borau.
Qui i monaci la custodirono dall’VIII al X secolo, finchè nel 1063 non approdò nella nuova residenza reale aragonese di Jaca.
Su un capitello della cattedrale di Jaca è descritto il martirio di papa Sisto II e di San Lorenzo; e poiché sono ritratti entrambi, sembra che esista realmente un nesso tra il calice e quella che una volta era la sede vescovile.
Nel 1076 la sede vescovile fu trasferita da Jaca e Huesca a San Juan de la Pena e anche la coppa venne portata nel monastero scavato nella roccia.
Infine, nel 1437 la coppa giunse nella cattedrale di Valencia dove oggi è ammirata e venerata come il calice dell’Ultima Cena.
Il calice è splendidamente lavorato, intagliato in agata orientale di colore verde smeraldo, sulla cui superficie la luce si riflette di tutti i colori, fino al viola. Montato su un supporto d’oro con perle, smeraldi e rubini, poggia su un piede semisferico di onice. I due grandi manici dorati sotto il calice sono a forma di cuore.
Verso la fine degli anni Cinquanta le ricerche nel campo della storia dell’arte resero noto che una parte del calice (la coppa di agata) era originaria del Medio Oriente e databile tra il 400 a.C. e il I secolo d.C.
Il piedistallo invece, in origine un calice a sé stante di provenienza egiziana, venne saldato alla coppa nel X secolo.
Secondo il professore Antonio Beltran che analizzò la coppa nel 1960, il vero e proprio Graal, è la coppa in agata, scavata e levigata e originaria di una bottega siriana o palestinese del I secolo, presumibilmente di Antiochia, la ricca città reale.
La coppa, alta 7 cm e con un diametro di 9,5 cm, era troppo preziosa per appartenere ad una casa privata, dunque poteva essere di proprietà del Tempio, del re o di una comunità religiosa.
In determinate condizioni di luce, sul piedistallo applicato successivamente al Graal di San Juan de la Pena si può leggere un’iscrizione misteriosa sufica/araba:
 “li - izahirati”.
Gli studiosi che ne hanno indagato il significato l’hanno decifrata in “per colui che sanguina”.
L’orientalista Hans-Wilhelm Schaefer interpreta l’iscrizione in maniera diversa: “alabsit sillis”, una frase molto vicina a quella che appare nel “Parzival” di Wolfram von Eschenbach: lo scrittore infatti menziona una frase misteriosa relativa al Graal: “Lapsit exilis” cioè pietra delle stelle.
Ciò potrebbe significare che il Graal è stato portato sulla Terra dagli angeli.
L’analogia è comunque sorprendente.


I cavalieri del Graal
Per difendere il Sacro Calice dai nemici, e dalla malvagità del mondo, alcuni giovani arrivarono a San Juan de la Pena per entrare nell’ordine dei cavalieri di San Giovanni gia dal IX secolo.
Il loro era un vero e proprio “battesimo di fuoco”: si immergevano in una piscina battesimale alimentata dall’acqua di una sorgente che sgorgava all’interno della stessa chiesa. Era la fase in cui il cavaliere si riuniva al divino.
Il loro motto erano le lettere INRI (Gesù nazareno, re dei Giudei) che venivano trasformate in “Igne natura renovatur integra” cioè “la natura si rinnova attraverso il fuoco”.
Dietro a ciò si nascondeva il mito della Fenice che rinasce continuamente dalle ceneri (la Fenice è un simbolo di Cristo che ha vinto la morte).
Nella parte superiore della nicchia di sepoltura dei cavalieri del Graal si trovano dei simboli ermetici:
una stella a sei punte che per gli alchimisti simboleggia lo “spiritus mundi” e un  monogramma  “CR AO”. La spiegazione tradizionale sarebbe “Christus est Alpha et Omega” ma letto circolarmente appare “ROSA X” cioè Rosacroce.







sabato 1 gennaio 2011

San Galgano Abbazia ( Siena )

La Mappa 
                                       

La Storia
Galgano Guidotti, figlio di Guido e Dionisa, nacque nel1148 a Chiusdino (Siena), un piccolo borgo che sorge su un altura non lontano dall'Abbazia, in quella parte del Medioevo colma di violenze, soprusi e stupri vissuti anche in modo ludico, come manifestazione di vigore e vitalità, ma sempre tesi ad affermare la propria forza e ad ampliare la propria sfera di dominio. Ed anche Galgano, come gli altri cavalieri, era fiero e prepotente e la sua giovinezza spensierata e frivola.
Con il passar del tempo Galgano cominciò a rendersi conto dell' inutilità del suo modo di vivere, provando il tormento di non avere uno scopo di vita.
In questo stato d'animo maturò la voglia di cambiare decidendo di ritirarsi sulla collina di Montesiepi, a poca distanza da Monticiano. 
Galgano abbandonò il suo mondo, disgustato dalle nefandezze commesse e da quelle che vedeva continuamente commettere, per dedicarsi ad una vita di eremitaggio e penitenza nella ricerca di quella pace che il suo tempo non consentiva e di quel desiderio e contemplazione di Dio che solo la vita ascetica poteva permettere.
Come segno tangibile di rinuncia perpetua ad ogni forma di violenza prese la sua spada e la conficcò in una roccia che affiorava dal terreno, con l'intenzione di usarla come croce dinanzi a cui pregare anzichè come  arma con cui offendere. Un grande gesto simbolico di estrema forza. Era l'anno 1180.
Galgano il 3 dicembre 1181, morì.
Nel 1185 fu dichiarato Santo da Papa Lucio III.


Fonte
http://www.sangalgano.org/index.htm